Giovanni Paolo II: il Papa e l'attore.
- Francesco Marcolini
- Sep 7, 2018
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Updated: Sep 8, 2018

"Credo nel Tuo Teatro e vorrei assolutamente crearlo con Te, esso potrebbe essere diverso da tutti i teatri “polacchi”, esso non piegherebbe l’uomo ma lo innalzerebbe e lo infiammerebbe, non lo distruggerebbe ma lo renderebbe angelico."
Sono le parole potenti che Karol Wojtyła durante gli anni della seconda guerra mondiale rivolge all’amico Mieczysław Kotlarczyk, il fondatore del Teatro Rapsodico, che passerà una notte intera a tentare di convicere il futuro Papa a non smettere di recitare per diventare sacerdote.
Sono gli anni in cui in Polonia un altro grande uomo di teatro sta iniziando la sua ricerca, Tadeusz Kantor. Colui che verrà ricordato negli anni come il fondatore del “Teatro della morte”: un teatro chiamato a riportare in vita, attraverso la memoria, le cose, le persone, i ricordi che però sono inevitabilmente destinati alla corruzione e alla morte.
La morte, il disagio e la malattia sono le uniche cose che il teatro, dal Novecento in poi, riesce a raccontare dell’uomo, perché è un teatro fondamentalmente ateo. La storia del teatro nasce dall’uomo che dialoga con Dio, che lo racconta, scaturisce dall’azione liturgica e dalla celebrazione festiva sacra. Così inizia nell’antica Grecia e così risorge nel Medioevo. Certamente nel tempo è stato anche celebrazione del potere, ma dalla Rivoluzione Francese in poi la cultura, ed il teatro di conseguenza, si slegano progressivamente dalla fede e si smarriscono definitivamente davanti allo scandalo del male assoluto che le due guerre mondiali hanno dato.
Il Teatro rapsodico di Kotlarczyk e Wojtyła invece non si piega, è un teatro che lotta per la dignità dell'uomo, in particolare per quella del popolo polacco oppresso dal nazismo.
Durante questi anni oscuri della storia dell’Umanità, immaginiamoci una cantina o un appartamento, solo un piccolo lume dalla fiamma flebile che illumina tenuamente il viso di un giovane attore, Karol, che le testimonianze raccontano, non interrompeva i suoi monologhi nemmeno durante i raid aerei. Conoscendone la forza durante gli ultimi anni della sua vita, nonostante la malattia, non è difficile immaginare il suo coraggio durante gli anni giovanili.
Il “Teatro della Parola”, è una variante del nome dato alla compagnia clandestina e al loro percorso di ricerca. La parola umana come unico e primario veicolo di significato in un teatro poverissimo (senza palco, scene, costumi, luci, sipario) dove, come teorizzerà un altro maestro del Novecento, Grotowski, per fare teatro bastava il corpo degli attori e la presenza degli spettatori.
Ma se non fosse diventato Papa, Karol Wojtyła sarebbe diventato un grande attore? Alla domanda fatta ad Halina Kwiatkowska, un’attrice, collega e amica di Papa Giovanni Paolo II durante gli anni del “Teatro Rapsodico”, essa risponde:
«Ne sono certa, perché aveva molto talento. E se posso permettermi una piccola impertinenza in aggiunta, vorrei dire che l’aver fatto l’attore in gioventù gli è stato utile quando è diventato Papa. Ascoltando i suoi discorsi, mi rendo conto che non ha mai veramente dimenticato la tecnica, l’arte degli effetti teatrali, e ha continuato a usarla, forse inconsciamente. Insomma, con Karol Wojtyla il teatro ha perso un grande attore, ma la Chiesa ha guadagnato un grandissimo Papa».
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